Valgrande 2017 Siamo abituati a pensare quando andiamo in un posto (penso ai luoghi di vacanza ma in pratica vale per ogni posto non abituale dove passiamo del tempo) a quello che portiamo via, cioè che ci riportiamo a casa, siano ovviamente dei ricordi, delle foto, dei souvenirs, ma ramente ci soffermiamo a pensare a quello che lasciamo; partendo dal presupposto di lasciare un’impronta il più possibile “soffice” del nostro passaggio, e quindi di non inquinare, sporcare o asportare cose dai luoghi dove ci soffermiamo, vi siete mai chiesti se lasciate qualcosa di voi?
Spesso si usa l’espressione riferendosi ad un posto particolarmente bello dove si è stati: “ci ho lasciato il cuore”, ebbene e se ci fosse un pizzico di verità in questo modo di dire!
Magari per molti sarà solo una riflessione vacua, fine a se stessa, ma sto parlando seriamente; non ci accorgiamo quasi mai di quello che lasciamo, se lo lasciamo, in un posto, perché come spesso accade siamo impegnati in altro: concentrati a memorizzare quello che il posto ci offre, raccogliere informazioni e goderci la bellezza del posto, seguire un fitto programma, o perché stiamo in compagnia di altre persone che impegnano la nostra attenzione, o perché siamo pre/occupati da qualche pensiero, tutto assolutamente normale, eppure c’è qualcosa di più proprio lì di fronte a noi, sotto di noi, dietro di noi…è la nostra testimonianza!
Questa riflessione nasce dalla mia ultima esperienza in montagna, nella seconda settimana di luglio sono stato infatti nella selvaggia Valgrande (Verbania/lato piementose del Lago Maggiore), ho percorso i sentieri che portano su alcune delle cime maggiori della zona, ma soprattutto ho percorso in solitaria un trekking di 4 giorni, quindi non lungo ma molto impegnativo sia dal punto vista tecnico (lunghi tratti attrezzati, esposti, su roccia o con traccia esile e mal segnalata) che logistico (due notti consecutive in bivacco): il mitico Sentiero Bove; ideato a fine Ottocento è la prima alta via alpina a tappe (il più famoso Sentiero Roma infatti è di fine anni Venti del Novecento) ma anche la prima via ferrata concepita sulle Alpi!
Ora rispetto alle gite di un giorno, le alte vie (ma in genere tutte le esperienze forti di più giorni in alta montagna), specie se affrontate in solitaria, ti spingono a cercare un legame più profondo con il territorio proprio perché sei lontano da un ambiente a te più familiare (quello in valle per capirsi), così mentre il corpo è impegnato a sostenere lo sforzo fisico la mente, appena il percorso o una pausa ci consentono di rilassarci, inizia a spaziare e va alla ricerca di “compagnia”, prima dentro di noi: con un motivo musicale, una preghiera, il pensiero di una persona amata, ma poi prende confidenza e si allontana da noi (è il momento più bello!!!).
È allora che ti guardi intorno con una consapevolezza nuova, non sei più turista ma ti senti testimone di un posto, sarà per suggestione o per quel sesto senso che alcuni dicono che abbiamo ma avverti l’impronta delle persone che ti hanno preceduto, gli alberi secolari che ti guardano dall’alto, le pietre di un’antica baita in alpeggio, quel sentiero scavato nella roccia, quel prato che libera il tuo sguardo, quelle creste che si accavallano all’orizzonte, tutte queste cose prendono senso proprio perché ci sei lì tu a rendergli testimonianza, hanno bisogno di te come tu di loro, avverti che finanche le gocce di sudore che cadono dalla tua fronte non sono perse per sempre ma lasceranno un segno del tuo passaggio sul terreno che bagneranno, e poco conta che sia infinitesimale.
Questo è il “costo” di andare in montagna da soli, forse tornare un po’ più pazzi di quando si è partiti ma testimoni consapevoli di un disegno affascinante.