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Maupan Photo

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Cartolina Ott.2021 Centro di Gravità
Per me è difficile ammetterlo, per me che sono innamorato del paesaggio a 360°, dal mare alla montagna, che so che ci si può meravigliare della bellezza e straordinarietà del mondo dal giardino di casa alla maestosità delle Dolomiti, e che in ogni angolo, in ogni paesaggio grande o piccolo che sia, si trova a ben guardare tutta la storia della Terra, la forza e la sapienza della Natura (e che per questo motivo mi piace chiamare piccoli mondi), ebbene per tutto questo mi è difficile ammettere che ci siano dei posti speciali, che hanno qualcosa che li rende differenti dagli altri non tanto per questioni affettive, nel qual caso non ci sarebbe nulla di strano, ma per una sorta di magnetismo che emanano.
Quando ci arrivi, se c’è silenzio intorno e dentro di te, te ne accorgi quasi subito perché ti senti al centro di un vortice, come se tutto il paesaggio intorno convergesse verso di te; di norma chi ama andare in montagna e conquistare sempre nuove cime, quando ne raggiunge una per quanto bella e per quanto sia stato difficile arrivarci, dopo un primo momento di gioia e di appagamento, guardandosi attorno viene rapito da nuovi progetti, dal desiderio di raggiungere nuove cime, …in questi luoghi speciali no.
In questi luoghi ti senti di non aver bisogno di andare oltre, di aver raggiunto quel posto che non conoscevi ma sapevi che stavi cercando, e subentra quasi un dispiacere, un rimpianto interiore perché ti chiedi: “Ed ora dove mai potrò andare ancora?”
È una sensazione strana, difficile da spiegare a parole e ancor di più con una fotografia, una sensazione che rimane solo nostra, ed è un bene che sia così perché rimane preziosa nel tempo, un centro di gravità che sembra aver dato, anche se solo per un momento, un senso al nostro incessante cammino.
Buona visione con la cartolina di Ottobre su Maupanphoto.com

Prima, donna. Margaret Bourke-White
minia mostra
mostra fotografica al Museo di Roma in Trastevere
21 settembre 2021 / 27 febbraio 2022

È dedicata a Margaret Bourke-White, una tra le figure più rappresentative ed emblematiche del fotogiornalismo, la mostra retrospettiva che documenta attraverso oltre 100 immagini la visione e la vita controcorrente della fotografa statunitense.
Pioniera dell’informazione e dell’immagine, Margaret Bourke-White ha esplorato ogni aspetto della fotografia: dalle prime immagini dedicate al mondo dell’industria e ai progetti corporate, fino ai grandi reportage per le testate più importanti come Fortune e Life; dalle cronache visive del secondo conflitto mondiale, ai celebri ritratti di Stalin prima e poi di Gandhi (conosciuto durante il reportage sulla nascita della nuova India e ritratto poco prima della sua morte); dal Sud Africa dell’apartheid, all’America dei conflitti razziali fino al brivido delle visioni aeree del continente americano.
Oltre 100 immagini, provenienti dall’archivio Life di New York e divise in 11 gruppi tematici che, in una visione cronologica, rintracciano il filo del percorso esistenziale di Margaret Bourke-White e mostrano la sua capacità visionaria e insieme narrativa, in grado di comporre “storie” fotografiche dense e folgoranti.
(estratto da: http://www.museodiromaintrastevere.it/it/mostra-evento/prima-donna-margaret-bourke-white)


Museo di Roma in Trastevere
Piazza S.Egidio, 1b
Info tel. 06.0608
Orari: mar/dom 10,00/20,00

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Cartolina Set.2021 Il Domino dell'Acqua
Guardando questa foto mi è venuto in mente che tutto nasce dal basso, si anche le montagne più alte sono nate dal basso, dalle profondità marine o della crosta terrestre; camminando sulle creste sommitali della Majella (questa foto è stata scattata sulla Cresta Sud-Est del Monte Sant’Angelo) la cosa risulta fin troppo evidente, anche ai più scettici infatti basta fermarsi un momento, chinarsi, ed accorgersi che tra i ciottoli su cui mettiamo gli scarponi sono inglobate conchiglie, formazioni di microscopici polipi corallini, gusci di animali più o meno riconoscibili anche ad un’occhio inesperto, e che ad ogni modo ci ricordano che quel massiccio roccioso così coriaceo e possente su cui stiamo camminando si è formato milioni di anni fa nelle acque di un mare che non abbiamo conosciuto, ma che è il padre in fondo del mare in cui ci bagnamo oggi.
Su altre montagne magari la cosa è più celata e ci deve venire in aiuto la spiegazione di un geologo, ma il fatto sta che in ogni caso la montagna c’insegna, toccandolo con mano o meglio col piede, che anche le strutture naturali più grandi che conosciamo, apparentemente così immutabili e indipendenti, sono frutto di un’evoluzione e sono esse stesse parte di un meccanismo più grande a cui non possono sottrarsi, e che le riporterà al fine…in basso, in un flusso circolare, eterno e affascinante.
Molti potrebbero pensare che questi sono concetti ormai ben affermati e presenti sui libri, ma il camminare su una cresta della Majella con un occhio attento ci fa prendere coscienza di questa verità, che è un gradino in più di conoscerla; prendere coscienza di una cosa per me significa capire che non sei più un semplice spettatore ma che sei parte di quella storia, e questo vale in tutti i campi: oggi siamo molto più informati rispetto ai nostri nonni, ma abbiamo coscienza di meno cose rispetto a loro perché è cambiato il modo di sperimentare le cose, sempre più virtuale, filtrato dai media.
La nostra vita è sempre più “cementificata”, sempre meno i nostri piedi, le nostre mani, i nostri sensi, entrano in contatto col terreno naturale, con quel “basso” da cui tutto nasce, mentre è importante che i bambini continuino a sporcarsi le mani di terra, è importante che in ogni città si preservino e si aumentino le aree verdi, è importante che gli studenti nei loro percorsi formativi facciano esperienze green: portare degli studenti per esempio in una fattoria o in una gita in montagna, non serve semplicemente per fargli vedere come si munge una mucca o dove scorre un ruscello prima che diventi fiume, se correttamente avvicinati a queste esperienze serve a fargli prendere coscienza che il formaggio che mangiamo a casa è il frutto di una collaborazione del fattore con i suoi animali e con l’ambiente, e che l’acqua che utilizziamo a casa non nasce dai rubinetti ma è il frutto di un ricircolo lunghissimo che può durare anni, come un lunghissimo domino in cui ogni tessera, anche la meno appariscente, serve a perpetrare il movimento dell’acqua, e toccare la roccia su cui scorre il ruscello, l’albero che affonda le sue radici nel terreno che lo circonda, vedere la rana che zompetta tra l’erba vicina ad esso, tutto serve a farci capire che noi siamo una parte del tutto e che in tutto c’è una parte di noi, e che tale deve rimanere: una parte, altrimenti salta l’equilibrio, salta il domino!
Buona visione con la cartolina di Settembre su Maupanphoto.com

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Cartolina Ago.2021 E le montagne stanno a guardare
È sempre difficile cimentarsi a fare fotografie a soggetti “famosi”, non mi riferisco ovviamente ai divi del cinema o ai calciatori super pagati, bensì a quei monumenti o luoghi cult che ormai sono nell’immaginario collettivo perché ripresi e fotografati centinaia di migliaia di volte come simbolo di una località o di un paesaggio; e a questa etichetta non possono certe sfuggire le Tre Cime di Lavaredo.
Io le incontrai durante l’Alta Via 4 delle Dolomiti, e devo dire ne ero abbastanza intimorito, cosa potevo raccontare io con le mie foto che altri non avevano già fatto ampiamente e con stupendi risultati?
Considerando anche il fatto che la mia è una fotografia “di passaggio” nel senso letterale del termine, non posso aspettare la situazione o il momento migliore per fare uno scatto, ma cogliere solo il meglio che posso giusto durante il mio passaggio; inoltre quando le vidi ne rimasi così affascinato che quasi mi vergognavo a fotografarle, talmente belle che temevo di non riuscire a raggiungerle, fotograficamente parlando.
Poi d’improvviso comparve questo escursionista seduto di fronte a loro, però preso dalle sue cose non si curava di loro come ci si aspetterebbe, chissà forse stava scrivendo una cartolina (allora ancora si usava!), o controllando un percorso sulla carta, e fu allora che per la prima volta mi sembrò che la situazione si fosse ribaltata e che fossero le Tre Cime che stavano guardando incuriosite cosa stesse facendo quel tipo seduto di fronte a loro.
Da allora spesso mi capita di spostare il punto di vista, di pensare che in fondo, a modo loro, anche le montagne ci guardano e si domandano dall’alto della loro saggezza e immobilità dove ci porterà il nostro cammino.
Buona visione con la cartolina di Agosto su Maupanphoto.com

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Cartolina Lug.2021 Vivo un equilibrio instabile
Solo pochi giorni fa dalla cima di una montagna scrutavo i prati sotto di me in cerca di una traccia, un sentiero, sulla carta l’unica possibilità che avevo di compiere un anello intorno alla montagna (il tipo di percorso che prediligo) era di perdere molto dislivello fino ad incrociare un sentiero segnato che mi avrebbe riportato al punto di partenza con un lungo traverso ma tutto nel bosco; individuato dall’alto un abbozzo di sentiero sono sceso ad intercettarlo al margine del bosco nella speranza che facesse il caso mio, ho iniziato a seguirlo nella direzione che mi serviva ma ho ben presto capito che si trattava di un vecchio sentiero abbandonato che non mi avrebbe concesso alcuna certezza di esito positivo.
La traccia era assai esile, si nascondeva tra l’erba alta ed a tratti spariva del tutto, i pendii prativi su cui si sviluppava erano quelli che separavano il margine del bosco dalla cima della montagna, per cui abbastanza ripidi e scoscesi, il procedere era perciò molto lento ed attenzionato a non mettere il piede in fallo e scivolare; in compenso la giornata era splendida e bastava fermarsi un attimo perché gli occhi e la mente si caricassero di stupendi panorami sulle valli e le cime circostanti; solo percorrendolo mi sono accorto che si manteneva costantemente alla stessa quota, scavalcando crinali e conche alpestri, così ho compreso che quasi sicuramente si trattava di un vecchio sentiero con il quale i pastori potevano spostarsi velocemente sui prati sommitali con i loro animali, ma ancora non avevo la certezza che mi avrebbe riportato dove volevo.
Quando già cominciavo ad intravedere in lontananza la meta prefissata, in un’area particolarmente rigogliosa di vegetazione, la traccia è sparita del tutto e non c’è stato verso di ritrovarla, mi son chiesto allora se valesse la pena andare ancora avanti o se non fosse più semplice e meno dispendioso risalire fino in cima per tornare poi sui propri passi; nell’attesa di una decisione mi son fermato a riposare e a dissetarmi, quindi rialzatomi ho guardato ancora con più attenzione in avanti a cercare tracce del fantomatico sentiero, e si…quel cambio di luce tra l’erba ad un centinaio di metri da me sembrava proprio tradire la presenza di una traccia o di uno scherzo del paesaggio!
Ho deciso di proseguire e dopo pochi minuti con incredulità l’ho ritrovata (la traccia), sempre lì alla stessa quota, che sembrava avanzare sorniona tra l’erba e i cespugli a sfidarmi per vedere quanto ancora gli avrei dato fiducia; glie ne ho data ed è stato solo allora che ho vissuto uno di quei momenti magici, quando ti trovi in un posto e in un preciso momento, e senti che non hai bisogno di nulla più e tutto ha avuto un senso se ti ha condotto fino a lì: mi sono ritrovato ad attraversare un selvaggio canalone che scendeva dalla cima del monte e sembrava dipinto da un pittore perché era tutto, letteralmente, ricoperto da un mantello di fiori gialli (Ginestra stellata) che innondavano di una calda luce il paesaggio.
Ancora qualche passaggio incerto su impluvi scoscesi e piccole frane, ed ho completato il periplo della cima tornando proprio dove avrei voluto, sul comodo sentiero segnato da cui era iniziata la salita; è allora che ho compreso che quel sentiero appena concluso in fondo era la metafora della mia vita, e mi è tornata in mente la canzone degli Stadio “Equilibrio instabile” (autore Saverio Grandi).
Non sempre ce ne rendiamo conto ma la strada che percorriamo porta i segni dei nostri antenati, i nostri genitori in primis, e poi via via indietro per tante, tante generazioni, la nostra impronta ricalca in parte le loro (l’esile traccia di antichi pastori), che lo si voglia o no; e se è vero che la direzione che prendiamo risponde ad una nostra esigenza, bisogno attuale, credo che siamo anche noi come gli animali che migrano spinti da una migrazione interiore che affonda le sue radici molto prima di noi.
Il sentiero a tratti presente e che a tratti scompariva mi ha ricordato i momenti della mia vita che periodicamente si ripetono, quelli in cui la direzione sembra giusta, chiara, contrapposti a quelli in cui mi assale il dubbio e lo sconforto perché mi vengono a mancare i punti di riferimento, di condivisione; il terreno ripido, scivoloso, rappresenta le difficoltà della vita, che si ripresentano ogni volta ed è illusorio sperare che finiranno; i tratti franati sono quelle esperienze dolorose della vita che vorremmo non affrontare ma che una volta affrontate ci fanno crescere; c’è poi il momento dell’attesa, del riposo, che la montagna mi ha insegnato non dovrebbe mai mancare prima di prendere una decisione importante.
Fortunatamente c’è anche il momento magico, il canalone fiorito, quando ti senti un re perché non hai bisogno di nulla più di ciò che già hai, quella è la felicità, e allora comprendi che la felicità non è una meta ma una condizione, uno stato dell’essere che non può essere fermato ma solo assaporato al momento, una sensazione dolce e leggera che ti pervade l’animo e gli dona pace.
E infine, infine c’è la chiusura dell’anello, la fine del sentiero e del viaggio, solo allora puoi capire se sei arrivato veramente dove volevi andare, se tutti i passaggi precedenti hanno avuto un senso, ma temo che questo non ci sia dato sapere perché ogni sentiero nella nostra vita è parte di un viaggio assai più grande che si concluderà solo quando torneremo al punto da cui siamo partiti e la vita e la morte si ricongiungeranno; una cosa però i sentieri di montagna me l’hanno insegnata: che una volta messo in cammino puoi arrivare molto più lontano di quanto immaginavi.
Ecco spero che queste riflessioni possano essere utili a qualcuno di chi, come me, continua a vivere in un equilibrio instabile.
Buona visione con la cartolina di Luglio su Maupanphoto.com

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Cartolina Giu.2021 Sogni
Ho sempre fotografato cercando di raccontare “storie”, quelle raccolte, lette, nel paesaggio che incontro, che sia naturale o meno, ma ci sono spesso altre storie che rimangono nascoste dietro l’immagine, che non entrano nell’inquadratura, e non potrebbe essere altrimenti perché sono i retroscena dello scatto o l’ispirazione per quella particolare immagine; …questa è una di quelle.
Anni fa, parecchi anni fa, vidi un film di Akira Kurosawa che mi impressionò molto: “Sogni”, oggi non riesco a ricordare la trama dei singoli episodi ma sento ancora il fascino che suscitarono in me le sequenze del film, anche attraverso una superba fotografia Kurosawa riuscì a comunicare una dimensione onirica, visionaria, eppure a fartela sentire come vitale, viva, e forse influenzò in parte il mio modo di vedere la natura che ci circonda.
Una sequenza in particolare rimase nel mio cuore, da cui poi è tratta l’immagine del poster del film, quella di un bambino che attraversa dei campi fioriti in un paesaggio montano che sembra però come sospeso nel tempo e nello spazio; ho cercato spesso quell’immagine nel mio girovagare per i monti, e spesso mi è capitato di trovare vasti pianori o semplice radure colorate di fiori, come pennellate scappate di mano ad un pittore maldestro, ma una sola volta provai quella sensazione onirica che aveva suscitato in me la scena del film.
Una mattina prima di fare colazione nel b&b in cui alloggiavo sull’Appennino Emiliano, usci per fare delle fotografie al giardino della struttura che in realtà era un bosco lasciato abbastanza selvaggio, ma la proprietaria aveva la passione per i lupini (da cui derivava anche il nome del b&b) e così li aveva seminati un po’ dappertutto, con un risultato a mio avviso stupendo, poi la brina ed una leggera foschia che ancora avvolgeva il bosco fecero il resto!
Buona visione con la cartolina di Giugno su Maupanphoto.com

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Cartolina Mag.2021 La profondità del lago
Da qualche parte nell’Appennino c’è un piccolo lago, sulle sue acque turchesi si riflette un cielo azzurro, e più lo si guarda e più pare che quel piccolo specchio d’acqua riesca a contenere il cielo tutto, si l’immenso cielo che ci sovrasta e ci protegge, ci alimenta e ci sostiene, lo sconfinato cielo sembra contrarsi per poter entrare tutto in quel laghetto; come è mai possibile una cosa del genere? Quale trucco si cela dietro questo miraggio?
Avete presente quel giochino ottico per cui un’immagine ne cela un’altra, ma quest’ultima ci appare solo nel momento in cui riusciamo a mettere a fuoco su un piano che si colloca oltre la superficie materiale su cui è riprodotta la prima immagine?
Ebbene c’è una dimensione del laghetto che a prima vista ci sfugge, bisogna guardarlo a lungo infatti per accorgersi della sua “profondità”, questo laghetto è così profondo, ma così profondo, che quelli che riescono a mettere a fuoco più lontano vi diranno che in quel laghetto si può arrivare a vedere l’Universo intero!
Così se un giorno vi ritroverete a camminare sulle sponde di quel laghetto, fermatevi un momento, sedetevi tra i fiori che lo adornano e perdete lo sguardo tra le sue acque, scoprirete… che non vi ho mentito.
Buona visione con la cartolina di Maggio su Maupanphoto.com

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Cartolina Apr.2021 L'arte di togliere
Guardando questo scatto mi è venuto in mente che quella della fotografia, mi riferisco a quella classica e non a certe esasperate forme di sperimentazione, è un’arte assai singolare.
Si perché in genere l’artista è colui che con il suo estro e capacità arricchisce la nostra esperienza del reale: lo scultore per esempio arricchisce la materia dandole una forma che prima non aveva, o potremmo anche dire che non mostrava; il pittore arricchisce le superfici di nuovi disegni e colori su cui la luce possa riflettersi; il musicista arricchisce il silenzio con la combinazione di suoni che creano nuove melodie; il cuoco a sua volta con la combinazione degli alimenti base crea nuove pietanze, nuovi sapori che deliziano il palato; e così via.
E il fotografo?
A ben guardare il fotografo con la sua arte non aggiunge niente alla realtà, semmai fa l’opposto: la sua maestria sta proprio nel togliere al nostro sguardo il superfluo, ciò che lo distrae e lo offusca, per far risaltare quello che era già presente davanti ai nostri occhi; ci fa concentrare su un particolare aspetto della realtà isolandolo (togliendolo) dal contesto che lo circonda; o ancora isola un momento particolare dal resto dell’azione in cui altrimenti perderebbe importanza; od anche ci suggerisce un punto di vista diverso che era rimasto nascosto dal comune modo di vedere le cose.
Insomma, seppur con diverse sfumature, fateci caso ma comunque la si guardi un bella foto toglierà sempre qualcosa per metterne in risalto altre.
Buona visione con la cartolina di Aprile su Maupanphoto.com

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Cime Maggiori dell'Appennino La Mappa del Tesoro
Per ogni viaggio che si rispetti serve prima di tutto un’idea, e limitandosi alla montagna ancora prima di una guida con itinerari di cui ormai ce ne sono tantissime, un’idea è il modo di approcciarsi alla scoperta della montagna, ce ne sono molti di modi e possono cambiare col tempo, negli ultimi anni però ho visto con piacere diffondersi sempre più tra gli appassionati il cosiddetto appenninismo: inteso non semplicemente come un andare per i monti dell’Appennino, quanto come un’esplorazione dell’Appennino, una conoscenza più approfondita del territorio sia dal punto di vista geografico, alla ricerca di quei monti, di quei passaggi, meno conosciuti ma altrettanto protagonisti di queste montagne, sia dal punto di vista interiore come tentativo di trovare il proprio sentiero, la propria via ai monti, estranea ai record altisonanti, agli exploit sportivi cui troppo spesso negli ultimi decenni è stato accostato l’alpinismo, e pur tuttavia assai più preziosa per la nostra consapevolezza.
D’altro canto questa ricera di nuove mete/cime non interessate dalla nomenclatura ufficiale, ha portato come risultato inevitabile una certa confusione nell’identificazione delle stesse e di conseguenza nella condivisione delle proprie esperienze in quei luoghi; è nata così l’idea di raccogliere in un unico database* tutte le cime di maggiore interesse per questa riscoperta dell’Appennino, lavoro sfociato in quattro elenchi: cime dai 2000m. in su, cime sui 1900m., cime sui 1800m., ed infine cime dai 1800m. del massiccio dell’Etna, che in genere non viene considerato per via della sua natura di vulcano attivo e quindi con una morfologia in continua evoluzione, ma che secondo me merita di essere comunque preso in considerazione perché è un gruppo montuoso a tutti gli effetti.
Mentre facevo questa ricerca, analizzando le carte topografiche, le tavolette IGM (fondamentale l’accesso al Portale Cartografico Nazionale del Ministero dell’Ambiente), Google Earth, e ovviamente in rete, ho riflettuto sul fatto che le montagne non hanno un nome! Siamo noi esseri umani che abbiamo bisogno di dare un nome alle cose, ai luoghi, e a maggior ragione alle persone, per potersi relazionare con loro, e non è solo un tentativo di organizzare meglio la nostra vita, in molti casi è piuttosto la necessità di stabilire una forma di empatia con la realtà che ci circonda; per questo nel redigere la raccolta ho cercato di essere il più obiettivo possibile, il criterio prevalente è sempre stato quello della toponomastica dei luoghi più prossimi ove mancasse il nome sulle carte (colonna B), a seconda dei casi integrata poi da riferimenti bibliografici o in rete.
Anche se ho personalmente valutato ogni singola cima con i dati raccolti e la mia esperienza personale, non ho potuto fare a meno di confrontarmi con chi mi aveva preceduto con un intento simile, mi riferisco agli elenchi ufficiali del Club 2000m, del Club 1900m Appennino, del Club Ultra, ed alle liste personali di Giuseppe Albrizio (sui 2000) e di Michele Tagliacozzo (sui 1800) che ringrazio in questa occasione.
È importante sottolineare che in questa raccolta la CIMA è intesa in senso lato, la misura della parola rispecchia quel senso di ebrezza che genera in noi raggiungere tali luoghi (in maggiore o minor misura a seconda dei casi), ebrezza stimolata non tanto dalla prominenza/posizione della cima rispetto al terreno circostante, quanto rispetto al paesaggio circostante, emozione che in alcuni casi può essere sperimentata solo sul posto e non delegata a dei freddi calcoli numerici.

Note Tecniche:
Quando la cima non è quotata sulle carte, la cifra dell’altezza (colonna C) viene riportata in rosso proprio per indicare un possibile errore di attribuzione; difficile invece fare una scelta quando la cima è quotata con cifre differenti tra le varie carte (cosa molto diffusa per es. sull’Appennino Tosco-Emiliano), in questi casi ho dato in genere la precedenza alle quote riportate su IGM a meno di riscontri approfonditi in rete.
Vale la pena ricordare che anche la cartografia IGM non è esente da errori, i cartografi dell’epoca (la cartografia nazionale si sviluppò da circa il 1880 in poi) si ritrovarono a gestire una mole di dati immensi, spesso con il non facile compito di interpretare e tradurre dei termini dialettali, locali, o persino di dover scegliere tra più nomi attribuiti alla stessa montagna/località da valligiani differenti, quindi qualche errore di attribuzione o di quota ci può stare, ciononostante l’affidabilità della cartografia IGM rimane elevatissima e senza dubbio deve essere sempre presa come base di riferimento per una qualsivolgia ricerca topografica.
L’ordine proposto è in base alla collocazione geografica dei gruppi/sottogruppi montuosi (colonna D), partendo dall’Appennino Settentrionale a scendere, per l’Etna invece ho suddiviso l’area in quattro spicchi; quando la cima presenta comunque delle difficoltà alpinistiche per salirla anche dalla via più facile/normale l’ho segnalato nelle note, spetta poi ad ognuno informarsi sulle difficoltà tecniche di ciascuna, così come spetta pure ad ognuno la verifica degli eventuali divieti o riserve integrali presenti sul terriotorio interessato da una cima, e che possono variare nel tempo e nei modi.
Nelle note (colonna F) ho riportato: l’eventuale ulteriore nome con cui la cima è conosciuta (in soli 2 casi ne suggerisco uno non avendo trovato alcun riferimento valido), come accennato l’eventuale difficoltà alpinistica (passaggi su roccia aiutandosi con le mani), e per le cime che ritenevo meno conosciute o non citate affatto sulle carte, indicazioni di massima della posizione (volutamente non ho inserito le coordinate geografiche dei luoghi perché ritengo che una componente importante dell’appenninismo sia proprio il “gioco”, l’avventura che viviamo nel trovare i passaggi e le cime prima sulla carta poi dal vivo, imparando a leggere il territorio, i suoi segni, anche se questo può comportare a volte delle rinuncie, ma questa è un’altra storia…); l’ultima (colonna G) è una semplice colonna di spunta, considerata la grande quantità di nomi con cui è facile confondersi, ma può fungere anch’essa come criterio di ordinamento; esiste anche una colonna nascosta (la E), ma questt’ultima serve esclusivamente per ripristinare velocemente l’ordine originario (collocazione geografica da nord a sud).
I singoli fogli (elenchi) del database vengono proposti ordinati in base ai gruppi e sottogruppi montuosi per una più facile individuazione delle cime, a loro volta raccolti nelle grandi aree montuose del territorio (colori), ma possono essere ordinati/filtrati in base ad uno o più criteri (di secondo livello), quindi per esempio: in base alla quota assoluta, o alla quota in relazione all’area di appartenenza (colori), od ancora in base alla presenza della cima negli elenchi ufficiali del Club 2000/1900 (colonna A), mentre per i 1800 essendo questo il primo elenco si può parlare di un elenco ufficioso (redatto in base agli stessi criteri utilizzati dal Club 2000 e che ha portato ad un totale di 195 cime).
L’ampiezza delle colonne è tale che impostando al minimo i margini del foglio A4 si può stampare tutti i dati di un record/cima su un’unica riga, ma per chi non avesse dimistichezza con Excel allego anche la versione in pdf dei vari elenchi.

Sicuramente questa prima stesura andrà riveduta, migliorata, e spero che possa crescere con nuovi arrivi (interessante sarebbe anche ampliare la ricerca sulle quote inferiori), così vi sarò grato se vorrete darmi dei suggerimenti in via personale in tal senso (vi prego solo di motivarli con un minimo di argomentazione), spero però di aver fornito una buona base di partenza, e mi piace pensare a questa raccolta non tanto come a un elenco quanto come a una “mappa del tesoro”, quel tesoro di cui andiamo alla ricerca la mattina presto mettendoci in viaggio, e non ci stanchiamo mai di cercare nonostante le difficoltà lungo il cammino, quel tesoro di chi, come noi, ama la montagna.

 

* CIME MAGGIORI dell'APPENNINO (excel)

CIME dell'APPENNINO sopra 2000m. (pdf)

CIME dell'APPENNINO sui 1900m. (pdf)

CIME dell'APPENNINO sui 1800m. (pdf)

CIME dell'Etna sopra 1800m. (pdf)

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Cartolina Mar.2021 Cime di passaggio
C’è una sorte di euforia che si sperimenta sulla cima di un monte, una sensazione di libertà e insieme di soddisfazione di un desiderio atavico che non sapevamo di avere, forse un riscatto delle nostre dimensioni minute rispetto ad un orizzonte che ci appare così irraggiungibile dal basso, forse il superamento di quel senso di frustrazione dovuto all’impossibilità dell’uomo di volare, di infrangere quei limiti corporali che i nostri sensi, la nostra fantasia, non riconoscono.
Una volta giunti in cima quanto più si fa silenzio intorno a noi (ovviamente cosa facilitata andando in solitaria), quanto più il nostro mondo, quello “da basso”, si dissolve, e troviamo spazio dentro di noi ad una dimensione diversa del nostro essere; non ci sentiamo più dentro il paesaggio, sopra la terra, ma diventiamo parte della natura che ci circonda: siamo nel cielo, siamo nell’aria, siamo nel vento, siamo nella luce, non è solo il nostro sguardo che si allontana verso l’orizzonte, siamo noi stessi che sentiamo di essere trasportati con lui, liberi di volare.
In molti si rimane stregati da questa magica euforia, da questa sorta di ebbrezza benigna (Nan Shepherd nel suo libro “La montagna vivente” esprime un concetto simile parlando di feynità di montagna), e per sperimentarla ancora accettiamo privazioni e tanti sforzi, certi che saremo ben ripagati perché abbiamo scoperto, per dirla con le parole di Walter Bonatti, che: “Chi più in alto sale, più lontano vede; chi più lontano vede, più a lungo sogna”.
Con gli anni però ho compreso che la cima, per quanto assurdo possa sembrare, non è la meta, ma fa essa stessa parte del cammino; una volta un signore conosciuto in montagna mi disse che una gita non finisce finché non si torna a casa, lui si riferiva al fatto che bisogna rimanere concentrati anche sulla via di discesa, non rilassarsi credendo che ormai si sia raggiunto l’obiettivo preposto; aveva ragione, ma oggi quelle parole hanno assunto un significato più profondo per me, oggi comprendo che se una gita, una cima, una volta ridiscesi a valle ci fa tornare le persone di prima, al più con un bel ricordo, manca qualcosa; in me lascia il desiderio di trovare un migliore equilibrio con la natura che mi circonda, con gli altri e… con me stesso.
Quella magica ebbrezza che sperimentiamo sulle cime può darci una soddisfazione momentanea, ed è già tanto, ma può anche alimentare una maggiore consapevolezza del nostro ruolo sul pianeta (proprio quel peso della farfalla di cui avevo parlato nella cartolina di Ottobre 2020 su Maupanphoto); può sembrare un controsenso ma la cima in una gita serve, è una meta, quanto più diviene un “passaggio” per avere occhi nuovi, l’essenza più profonda di ogni viaggio.
Forse per questo cerco sempre nelle mie gite di ideare percorsi ad anello, per continuare a “scoprire” il cammino, per non allentare la tensione di meravigliarsi quando si dischiude il paesaggio oltre il crinale, oltre il bosco, oltre il torrente; si arricchisce la propria esperienza conoscendo la montagna da una diversa prospettiva rispetto alla salita, ma ancor più si rimane in gioco fino alla fine!
Buona visione con la cartolina di Marzo su Maupanphoto.com

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Cartolina Feb.2021 Voglio tornare a fare ooh!
C’è un bambino dentro ognuno di noi, magari a volte lo nascondiamo ben benino, ma nessuno può dire di averlo completamento perduto diventando grande; è un bambino un po’ petulante (come tutti i bambini d’altronde!), e se proviamo a dargli ascolto ci chiederà sempre del tempo per giocare con lui, mentre ci metterà il broncio se lo metteremo in disparte dando priorità ai nostri impegni da grande, ai nostri progetti.
Tutti gli studi in materia confermano che il gioco aiuta a crescere, nell’uomo come in tutte le specie animali più evolute, ma più si cresce è più sembra che il gioco diventi un ostacolo alla piena maturità: è buffo; l’essenza del gioco è quella di essere quello che non si è, di uscire dagli schemi, così se da piccoli si gioca a fare i grandi, credo che da grandi bisognerebbe provare, giocare, a fare i piccoli.
Voglio dire che dovremmo recuperare quella spensieratezza dello sporcarci le mani e sbucciarsi le ginocchia, ritagliarci un po’ di tempo per non prenderci sul serio, dimenticandoci i nostri ruoli sociali, curiosare dietro l’angolo cambiando il percorso abituale, costruire la nostra pista per le biglie, far ripartire quel trenino fermo in stazione da tanto tempo.
Le modalità per mettersi in gioco sono infinite, ad ognuno la sua, si può giocare persino stando fermi e lasciando muovere la mente (con una lettura), o le mani (modellando, disegnando), ma se c’è un terreno fertile per giocare ebbene questa è la natura, e il paesaggio montano in primis; un’escursione in montagna ci offre la possibilità di staccare la spina, di uscire dai nostri ruoli e di mettersi alla prova in ambiti nuovi, diversi, inaspettati, e forse, ancor più preziosa, ci offre la possibilità di meravigliarsi, di tornare a fare …ooh!
Buona visione con la cartolina di Febbraio su Maupanphoto.com